di Andrea Vandelli e Chiara Cavicchioli
Tra le più significative modifiche normative previste dalla Legge Professionale Forense, vi è stata l’introduzione della nuova disciplina della sospensione cautelare dall’esercizio della professione.
Tale misura interdittiva, in precedenza, era regolamentata dall’art. 43, commi 3 e 4, del R.D.L. n. 1578 del 27 novembre 1933, in base al quale il Consiglio dell’Ordine poteva pronunciare, dopo aver udito il professionista, la sospensione dell’avvocato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale o contro il quale fosse stato emesso mandato od ordine di comparizione o di accompagnamento, senza pregiudizio delle più gravi sanzioni.
Successivamente, con l’introduzione del nuovo codice di procedura penale del 1989, essendo state eliminate le figure del mandato e dell’ordine di comparizione, la giurisprudenza di legittimità e quella forense, con una interpretazione estensiva della norma, maggiormente adeguata alla nuova realtà processuale, hanno statuito che la sospensione cautelare potesse essere pronunciata, in presenza di comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e di particolare gravità, nel caso in cui l’avvocato fosse stato sottoposto ad una misura cautelare, nonché in caso di sentenza penale di condanna ancorché non passata in giudicato, purché sussistesse il cosiddetto strepitus fori, quale condizione necessaria, elaborata dalla giurisprudenza disciplinare, come in seguito si dirà.
In altri termini, i COA, secondo la previgente disciplina, dovevano limitarsi a rilevare la astratta gravità delle contestazioni rivolte al professionista e la sussistenza di clamore mediatico tale da causare pregiudizio alla classe forense, per imporre sine die, la sospensione cautelare dell’avvocato. Salvo poi provvedere alla revoca – a propria, totale discrezione – solo nel momento in cui lo strepitus potesse ritenersi cessato.
Ciò causava, o poteva causare, situazioni di particolare intempestività nella adozione del provvedimento cautelare rispetto ai fatti oggetto di contestazione anche disciplinare: nel caso – ad esempio – in cui i media riportassero per la prima volta la notizia dell’esistenza di un procedimento penale (per imputazioni di una certa gravità) nei confronti di un iscritto, per fatti commessi anche diversi anni prima, solo nel momento dell’apertura della fase dibattimentale, se non addirittura, al momento della sentenza di primo grado.
Ad oggi, invece, la nuova disciplina relativa alla sospensione cautelare, di cui all’art. 60 L. 247/2012, volendo evitare tutto ciò e nell’ottica di arginare la discrezionalità assoluta dei COA, prevede, in modo tassativo, i casi in cui essa è applicabile: in particolare, è irrogabile in ipotesi di giudicato cautelare su una misura coercitiva o interdittiva, in ipotesi di applicazione della pena accessoria della sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte, o dell’applicazione di una misura di sicurezza detentiva; nonché qualora sia stata pronunciata condanna in primo grado, non solo per reati di cui agli artt. 372, 374, 377, 378, 381, 640, 646 C.P. se commessi nell’ambito dell’esercizio della professione, ma anche per i reati di cui agli artt. 244, 648, 648bis, 648ter C.P.. ed, inoltre, – in relazione a tutte le altre fattispecie – ogniqualvolta la condanna non sia inferiore a tre anni di reclusione.
Nonostante tali modifiche, si noti come la natura del provvedimento di delibera della sospensione cautelare non sia riconducibile né alle sanzioni disciplinari, né ai provvedimenti giurisdizionali, mantenendosi, come per la previgente normativa, nell’alveo dei provvedimenti amministrativi a carattere provvisorio, la cui ratio va individuata nell’esigenza di tutelare e salvaguardare la dignità e il prestigio dell’Ordine Forense.
Per quanto concerne, poi, la competenza a deliberare la sospensione, essa spetta ad un’apposita Sezione del Consiglio di Disciplina nel distretto nel quale è iscritto l’avvocato o il praticante, senza che sia necessaria un’effettiva apertura di un procedimento disciplinare e l’approvazione di un capo di incolpazione: la Sezione adita, infatti, non viene chiamata a valutare la fondatezza delle imputazioni penali sopraindicate, ma unicamente la loro tipicità e gravità in astratto oltre che la diffusione della notizia che ha costituito una situazione di particolare allarme per il decoro e la dignità dell’intera classe forense.
Invero, sebbene la nuova disciplina non faccia espresso riferimento al cosiddetto strepitus fori, dapprima elemento necessario e imprescindibile per l’applicazione del provvedimento precauzionale, la più recente giurisprudenza ha ritenuto che tale elemento debba costituire tuttora presupposto della nuova sospensione cautelare, anche in considerazione della interpretazione sistematica, storica e teleologica data dal Consiglio Nazionale Forense. In particolare, secondo la sentenza del CNF n. 23/17, lo strepitus fori nella precedente normativa era frutto di un portato giurisprudenziale che aveva valorizzato, appunto, il potere valutativo del COA dando significato alla formulazione letterale della previsione. Opinare diversamente sarebbe del tutto contrario al sistema deontologico forense, e porterebbe a privare l’organo disciplinare dal potere-dovere di valutare nel concreto la sussistenza di “quella dimensione oggettiva di rilevante esteriorizzazione” che doveva, e deve, costituire presupposto necessariamente concorrente della misura cautelare che può, e deve, essere ora valutato esclusivamente dal C.D.D. che, in quanto composto dai membri provenienti dalla medesima categoria professionale dell’incolpato, è in grado di valutare la concretezza, la rilevanza e l’attualità della lesione.
Permane, tuttavia, il dovere di accertare in concreto tale requisito sostanziale: non è sufficiente, infatti, che lo strepitus fori sia solo ragionevolmente previsto, ovvero astrattamente collegato all’esistenza di un procedimento penale, ma è necessario che vi sia una copertura mediatica tale da procurare discredito all’immagine dell’intera classe forense, non bastando quindi – ai sensi della più recente giurisprudenza – un solo isolato caso di cronaca, seppur colmo di dettagli.
Pertanto, la misura della sospensione cautelare potrà essere impugnata avanti all’apposita Sezione del Consiglio Nazionale Forense: il difensore dell’interessato, nel termine di venti giorni dalla avvenuta notifica, potrà proporre ricorso, che, tuttavia, non avrà effetti sospensivi dell’esecuzione del provvedimento.
Si noti, in ogni caso, che il sindacato del C.N.F., stante la natura discrezionale del potere del Consiglio Distrettuale di Disciplina esercitato nell’applicazione della sospensione cautelare, è limitato al controllo di legittimità del provvedimento, non potendosi estendere ad un riesame del merito e restando precluso ogni riscontro in ordine all’opportunità della comminata sospensione.
Inoltre, tra gli altri motivi di impugnazione, sebbene statisticamente meno ricorrenti, si evidenziano i cosiddetti vizi formali, ossia la mancanza della puntuale e corretta motivazione in merito alla gravità dei fatti contestati al professionista e alla sussistenza dello strepitus fori, nonché l’omessa audizione dell’avvocato prima della delibera, così come previsto dal comma 1 dell’art. 60, L. 247/2012.
Tornando ora alla disciplina, il provvedimento de quo può essere irrogato per un periodo non superiore ad un anno dalla data della notifica all’interessato ai sensi del comma 2 dell’art. 60, L. 247/2012: dalla data di irrogazione, il Consiglio dell’Ordine competente provvede a dare attuazione alla sospensione, verificando l’effettiva interdizione dall’attività giudiziale e stragiudiziale dell’avvocato sospeso, in capo al quale, tuttavia, permane l’obbligo di ricevere tutti gli atti afferenti sia gli incarichi che lo status professionale.
In ogni caso, per quanto attiene all’efficacia, la sospensione cautelare può essere revocata o modificata, d’ufficio dalla medesima Sezione che ha deliberato il provvedimento o su istanza di parte da una Sezione differente, allorché esso non appaia più adeguato ai fatti commessi, anche in considerazione delle circostanze sopravvenute (art. 32, comma 4, Regolamento C.N.F. n. 2/2014).
Da ultimo, a differenza della precedente normativa, che prevedeva un’interdizione sine die, occorre rilevare che oggi la sospensione cautelare perde efficacia qualora nel termine di sei mesi dalla sua irrogazione il Consiglio di Disciplina non deliberi il provvedimento sanzionatorio, nonché qualora il predetto Consiglio deliberi il proscioglimento dalla contestazione disciplinare oppure commini unicamente le sanzioni dell’avvertimento o della censura (Art. 60, commi 3 e 4, L. 247/2012).
Pertanto, la nuova normativa si pone di certo come maggiormente favorevole all’avvocato sospeso, perché più garantista, in quanto determina una limitazione nel tempo della misura interdittiva e ne tipizza tassativamente le condizioni per la sua applicazione.
Ciononostante, occorre sottolineare come – in forza dei principi espressi dalla sentenza a Sezioni Unite Civili n. 18984/17 – il campo di applicazione della nuova disciplina cautelare debba ritenersi delimitato ai soli fatti commessi successivamente all’emanazione della Legge Professionale Forense, pur in presenza dell’art. 65, comma 5, L. 247/2012. Tale articolo, prevedendo che le norme contenute nel Nuovo Codice Deontologico, se più favorevoli, si applichino anche ai procedimenti disciplinari in corso, regola la sola successione nel tempo delle disposizioni di “natura” deontologica del nuovo Codice: mentre la sospensione cautelare, avendo fonte legale, come la prescrizione, non soggiace a tale previsione.
In astratto, quindi, per i procedimenti disciplinari in corso al momento dell’entrata in vigore della L. 247/2012, dovrà applicarsi la precedente normativa, potendo, dunque, disporsi una sospensione cautelare sine die; mentre per quelli nuovi, al contrario, troverà applicazione l’art. 60 L. 247/2012: tuttavia, l’applicazione della precedente normativa costituisce ipotesi estremamente residuale considerato che i procedimenti che proseguono con la vecchia disciplina sono pochissimi e, in ogni caso, appare assolutamente inattuale la sussistenza delle condizioni per la applicazione della precedente normativa della sospensione cautelare rispetto a fatti accaduti prima dell’entrata in vigore della nuova Legge Professionale.
Peraltro, l’interpretazione delle Sezioni Unite della Cassazione (cit. sent. n. 18984/17) si fonda sul rilievo che la disciplina della sospensione cautelare trovi, al pari di quella della prescrizione, la propria fonte naturale nella Legge Professionale, piuttosto che nel Codice Deontologico. Nel caso che ci occupa va, però, osservato come il nuovo istituto della sospensione cautelare, a differenza della prescrizione, sia stato disciplinato anche dal Regolamento del C.N.F. n. 2/14, da considerarsi specificativo dei principi espressi dalla Legge Professionale: perciò, la natura della sua fonte potrebbe ritenersi non esclusivamente “legale”, ma anche “deontologica”, quindi tale da poter applicare anche a questo istituto il criterio di successione nel tempo di cui all’art. 65, comma 5, L. 247/2012.